LECTIO VANGELO IV dopo PASQUA

 

Dal vangelo secondo Giovanni (10,11-18)

 In quel tempo Gesù disse: 11 “Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. 12 Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; 13 egli è un mercenario e non gli importa delle pecore. 14 Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15 come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. 16 E ho altre pecore che non sono di questo recinto; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore. 17 Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18 Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio».

Contesto del brano:

Il brano nasce da una forte contrapposizione: nel capitolo precedente infatti, dopo la guarigione del cieco nato, Gesù definisce i farisei guide cieche perché, pur vedendo le opere che il Cristo compie, rifiutano di comprenderne la portata. Non solo non vogliono vedere, ma pretendono di imporre come verità la loro menzogna. Quindi Gesù attraverso l’immagine della porta e del buon pastore illustra il suo comportamento che è quello del Padre verso tutti gli uomini, in contrapposizione delle guide giudaiche.

Nei versetti precedenti infatti Gesù era già “andato giù duro” paragonando le guide del popolo di Israele a «briganti e ladri» (10,1).

Prima di entrare nel testo è bene precisare che questo brano è certamente rivolto a chi è pastore di una comunità ma, dandone un’interpretazione più ampia, è rivolto a tutti noi che in qualche modo siamo pastori, responsabili delle persone che Gesù ci ha affidato nelle nostre famiglie.

 Il testo offre tanti spunti, noi ci soffermeremo su tre aspetti:

In quel tempo Gesù disse: 11 “Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. 

Il “buon pastore” potrebbe essere tradotto come pastore “bello” ma soprattutto “vero”, in contrapposizione a quelli falsi e cattivi

Qual’ è la sua caratteristica ? Il pastore vero "dà la vita" per le pecore. Dare la vita inteso come dare vitalità. E’ in riferimento al respiro, l'alito, il soffio. Dare la vita è far vivere, dare l'energia, la vitalità. Il respiro non cambia la persona ma le dà vita. Quindi qui Gesù non da riferimento solo alla sua offerta di vita, ma soprattutto che lui è capace di “dare vita”, “dare respiro” alla nostra storia e al nostro cammino. Il vero pastore (che sia un prete, un papà o una mamma o chiunque conduce qualcun altro) non è colui che crea, che cambia, che decide, che stabilisce, che ordina. Il vero pastore dà vita a ciò che già c'è! Lui non crea, Lui dà vita alla vita che già c'è. Chi ama se stesso cerca di cambiarti, di manipolarti, di gestirti. Chi, invece, ti ama, cerca di “animarti”. Per alcune persone guidare, essere genitori, è influenzare, condizionare, dirigere. Ma dirigere è farti fare ciò che io voglio, che io desidero.
Essere pastori, significa stimolare, incoraggiare, aiutare le persone a tirare fuori il meglio di sé, quello che hanno dentro, quello che possono dare, stimolarle ad essere creative. Questo è l’amore. Questo è servire. Servire vuol dire mettersi al servizio del potenziale dell’altro, di ciò che lui è, di ciò che lui può vivere, del suo bene. Servire non vuol dire conformare a noi.
L’amore vero, quello del pastore, non può mai essere costrizione: «io do la mia vita», dice Gesù in questo passo. Nell’amore ci si dona non per un prezzo, ma per la bellezza di donarsi. L’amore vero è scelta, non obbligo. Il mercenario è spinto da un bisogno, il pastore da un desiderio.

12 Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; 
Gesù contrappone il pastore vero al mercenario: il mercenario agisce per proprio tornaconto; lo fa perché ne ha un ritorno. Così dice il mercenario: "Io ci sono... però guai a te se tu fai, pensi o decidi diversamente da come voglio io”. Sull’amore mercenario non puoi mai contare. Il mercenario è pronto ad andarsene quando la paga non lo soddisfa più. Il mercenario scappa quando il nemico sembra troppo minaccioso. Quando i lupi attraversano le pianure della relazione, il mercenario è pronto a fuggire. Così anche nelle nostre relazioni, se amiamo da mercenari, ce ne andremo quando ci sembrerà di perdere, quando non ci conviene, quando il rischio è superiore al guadagno.

14 Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15 come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 
Perché Gesù può essere il pastore vero? Perché prima di essere pastore lui è stato l'agnello.
Gv 1,35-36: "Il giorno dopo Giovanni (Battista) stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: "ecco l'agnello di Dio!"".
Quindi anche Gesù prima ha ricevuto, ha fatto esperienza dell'Amore di Dio , del Pastore Vero e Unico che è Dio Padre, e proprio perché l'ha conosciuto, adesso, in lui, le pecore possono conoscere Dio.
C'è un amore ricevuto da Dio e quest'amore viene riversato sugli uomini.
 E ho altre pecore che non sono di questo recinto; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore.

 Innanzitutto ci sono anche altre pecore che non sono di questo recinto. Sta parlando al popolo di Israele, ci sono molti altri recinti, in tutte le parti del mondo, tante forme di schiavitù ideologica e religiosa. Gesù è venuto a tirar fuori ogni uomo da ogni tipo di recinto; ad abolire tutti gli steccati e fare di tutta l’umanità un popolo di persone libere: tutti figli di Dio e tutti fratelli nella diversità.

Si può far la globalizzazione sotto il segno del ladro e del brigante, la conosciamo bene, o sotto il segno della fraternità che è esattamente il contrario. Gesù è venuto a tirar fuori dagli ovili (recinti), da tutti gli ovili. Nell’ovile le pecore sono sfruttate, muoiono e languiscono di fame, per vivere devono uscire per trovare pascolo e acqua. Così Gesù è venuto non a fare un solo ovile, una globalizzazione. Gesù è venuto per fare un solo gregge e il gregge è fuori dall’ovile e pascola nella libertà. Solo la libertà di chi conosce l’amore del Padre e considera tutti fratelli, finalmente, ha rotto i recinti e può formare quel popolo di persone libere e aperto a tutta l’umanità. È questo il disegno del Figlio che è quello del Padre. 

Buona domenica.
Don Paolo

Testi di rifermento per questa lectio:
Commento al vangelo domenicale, Don Marco Pedron
Commento al vangelo domenicale, Padre Gaetano Piccolo
Commento al Vangelo di Giovanni, Padre Silvano Fausti